Va licenziato chi minaccia i colleghi per farli ritrattare

Per la Cassazione è da licenziare chi minaccia i colleghi per far ritrattare loro le dichiarazioni rese in un precedente procedimento: impedisce la prosecuzione del rapporto.

MINACCE E LICENZIAMENTO

Confermato il licenziamento irrogato dalla società datrice al dipendente, che ha minacciato i colleghi per chiedere loro di ritrattare le dichiarazioni rese in un pregresso procedimento disciplinare e per aver omesso di comunicare i carichi pendenti richiesti. Per la Cassazione la fondatezza dell'eccezione relativa all'omessa comunicazione dei risultati del casellario è superata dalla gravità della condotta minacciosa del dipendente risultata intenzionale e ai limiti della rilevanza penale. Scontato che in presenza di una simile condotta la società datrice perda la fiducia nel proprio dipendente, tanto più se lo stesso, come nel caso di specie, ricopre la carica di supervisore. Precisazioni contenute nell'ordinanza n. 23068/2021 (sotto allegata) della Cassazione.

LA VICENDA PROCESSUALE

Un dipendente si rivolge al Tribunale per far dichiarare l'illegittimità del licenziamento irrogato nei suoi confronti dalla s.p.a datrice, relativamente alla contestata condotta di minacce che lo stesso avrebbe rivolto ad alcuni colleghi, per costringerli a ritirare le dichiarazioni rese in un precedente procedimento disciplinare e per aver omesso di comunicare i carichi pendenti iscritti a suo carico nel casellario giudiziale. La domanda però viene rigettata in primo grado come in appello.

TARDIVO L'ADDEBITO DELL'OMESSA COMUNICAZIONE DEI CARICHI PENDENTI

Risultato soccombente in entrambi i gradi di giudizio il lavoratore ricorre quindi in Cassazione innanzi alla quale solleva due motivi di ricorso.

  •  Con il primo fa valere la violazione dell'art. 2119 c.c perché la Corte di Appello non ha seguito e rispettato i criteri dettati dalla Cassazione per giungere al giudizio di responsabilità del dipendente e alla conseguente irrogazione del licenziamento per giusta causa.
  •  Con il secondo deduce invece la nullità del procedimento e della motivazione ritenuta meramente apparente con cui è stata rigettata l'eccezione di tardività della contestazione relativa all'omessa comunicazione dei carichi pendenti iscritti nel casellario giudiziario.

MINACCE AI COLLEGHI GRAVI E INTENZIONALI GIUSTIFICANO IL LICENZIAMENTO

La Cassazione rigetta il ricorso, partendo dall'analisi del secondo motivo di ricorso con il quale il lavoratore vorrebbe ottenere l'accoglimento dell'eccezione di tardività della contestazione anche in riferimento al primo addebito, facendo presente che la Corte di appello ha ritenuto sufficiente, nonostante la tardività del secondo addebito (relativo all'omessa comunicazione dei carichi pendenti), la gravità del primo per ritenere sussistente la giusta causa di recesso.

La Cassazione infatti ritiene che la Corte abbia ben motivato in merito alla necessità dell'avvio di una verifica interna sui fatti a carico del ricorrente e sulle dimensioni della società datrice, la cui complessità organizzativa ha sicuramente comportato una dilatazione dei tempi per avviare la procedura ed eseguire l'indagine. Il tutto conformemente a quanto già affermato dalla Cassazione, per la quale "il requisito della immediatezza della contestazione va inteso in senso relativo, potendo essere compatibili, nei limiti della regola della buona fede e della correttezza nell'attuazione del rapporto da parte del datore di lavoro, con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo."

Infondato anche il primo motivo del ricorso perché la decisione del giudice dell'impugnazione è aderente al dettato dell'art. 2119 c.c. La condotta del lavoratore, ha affermato correttamente la Corte di Appello, deve infatti ritenersi intenzionale e "spinta fino ai limiti della rilevanza penale", conclusione che risulta avvalorata dall'omessa comunicazione da parte del dipendente dei suoi precedenti penali. Elementi che hanno contribuito a fare in modo che la società datrice acquisisse maggiore consapevolezza delle condotte del dipendente, abituato a comportamenti penalmente perseguibili che non sono in linea con la posizione gerarchica rivestita e che legittimano il venir meno della fiducia da parte della società datrice sull'esatto adempimento delle prestazioni a cui era stato adibito.

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